PER LA STAMPA
Per poter risparmiare inchiostro nell'eventuale stampa si suggerisce l'utilizzo del software BLOCCO NOTE / NOTE PAD, accessibile dal desktop del pc con la seguente procedura:
START
TUTTI I PROGRAMMI
ACCESSORI
BLOCCO NOTE / NOTE PAD.
Una volta aperto il documento, selezionare la porzione di testo del blog che si desidera copiare, copiare e incollare nel documento.

mercoledì 28 gennaio 2015

La marcia su Roma (1922)


Poiché in Parlamento il governo non disponeva di una maggioranza solida, nel maggio 1921 Giolitti indisse nuove elezioni e decise la formazione di blocchi nazionali, un'alleanza tra liberali e fascisti che aveva due obiettivi:
-indebolire i socialisti e i popolari;
-coinvolgere i fascisti nel sistema parlamentare e far abbandonare le violenze squadriste.
Le elezioni confermarono la forza di socialisti e popolari (rispettivamente 123 e 108 eletti), lo scarso seguito elettorale dei fascisti (35 eletti) e la mancanza di una solida maggioranza parlamentare per i liberali: Giolitti rassegnò le dimissioni, nuovo primo ministro fu il socialriformista Ivanoe Bonomi cui seguì, dopo appena 7 mesi, il liberale Facta.
In un clima di violenza politica e di guerra civile, Mussolini comprese che poteva porsi l'obiettivo della conquista del potere: il 28 ottobre 1922 diede inizio alla marcia su Roma delle camicie nere. Facta propose di proclamare lo stato d'assedio e di schierare l'esercito a difesa della capitale ma il re Vittorio EmanueleIII rifiutò di firmare il decreto e diede incarico a Mussolini di formare un nuovo governo.

Il fascismo: lo squadrismo (1919 - 1922)


A Milano, nel marzo 1919, Benito Mussolini fondò i Fasci di combattimento. Mussolini era stato prima socialista (direttore dell'Avanti), poi interventista (e per tale motivo era stato espulso dal partito) e sostenitore della necessità di una rivoluzione violenta (sindacalista rivoluzionario). I suoi seguaci erano soprattutto ex combattenti che chiedevano riforme politiche e sociali, ostentavano un acceso nazionalismo e una forte avversione per i socialisti; il suo programma politico chiedeva la terra ai reduci, 8 ore lavorative, istruzione laica obbligatoria, istituzione di un'imposta straordinaria sul capitale, decurtazione dei profitti dei profitti di guerra, sequestro dei beni delle congregazioni religiose. 
Tra il 1920 e il 1921, però il movimento fascista abbandonò questo programma radicale e democratico, accentuò come obiettivo la lotta al socialismo e, basandosi su strutture paramilitari (le squadre d'azione composte da camicie nere), si pose sempre più spesso al servizio degli industriali e dei grandi proprietari agrari. Questi ultimi infatti capirono che grazie al fascismo potevano sconfiggere le leghe e le cooperative contadine.
Il fenomeno dello squadrismo si estese, anche perché non sempre efficacemente contrastato dalle forze dell'ordine, e in tutta Italia si moltiplicarono gli incendi delle leghe e delle case del popolo e le violenze contro i sindacalisti e politici socialisti e cattolici.

lunedì 26 gennaio 2015

Il biennio rosso (1919-1920)



Tra la fine del 1918 e il 1920 in tutta Europa i lavoratori (suggestionati dal successo della Rivoluzione russa) diedero vita ad una serie di agitazioni per migliorare le retribuzioni e ottenere la riduzione dell'orario di lavoro. Anche in Italia, la classe operaia chiedeva miglioramenti economici e sociali. Anche nel settore dei servizi pubblici ci fu una serie di scioperi. Queste agitazioni convinsero l'ala più estremista del Partito socialista (massimalisti, cui si opponeva la corrente dei moderati di Turati) che anche in Italia era possibile una rivoluzione proletaria: nel 1920 in molte città gli operai proclamarono l'occupazione delle fabbriche, di fronte alla serrata con cui gli industriali avevano risposto alle richieste dei lavoratori.
Anche nelle campagne, i contadini e i braccianti del Centro-Sud chiedevano l'attuazione della riforma agraria promessa durante la guerra e cominciarono l'occupazione delle terre incolte e dei latifondi.
Il governo, guidato da Giolitti, non usò la forza pubblica contro le occupazioni ma attese che un accordo fra operai e industriali ponesse fine alle occupazioni.
Il cosiddetto "biennio rosso" del 1919-1920 si concluse con un successo degli operai, che videro soddisfatte una parte delle loro richieste, ma segnò la crisi politica del Partito socialista (da cui infatti in seguito si sarebbe scissa la corrente comunista che con il congresso di Livorno, nel gennaio 1921, diede vita al Partito comunista) e impaurì la borghesia (eccessivamente timorosa di una rivoluzione proletaria anche in Italia) che cominciò a chiedere maggiore fermezza e autorità nella tutela dell'ordine pubblico.

La crisi dello Stato liberale


Benché l'Italia fosse una delle potenze vincitrici del conflitto mondiale, all'indomani delle guerra attraversò un periodo di profonda crisi sociale, economica e politica:
-l'economia degli anni della guerra aveva permesso il rapido arricchimento di pochi (industriali che avevano lucrato sulle spese di guerra dello Stato) ma aveva impoverito significativamente la piccola borghesia, i contadini (cui durante il conflitto erano state promesse riforme agrarie), gli operai. la forte inflazione che seguì gli anni di guerra aggravò questa situazione;
-da un punto di vista politica, il partito liberale apparve sempre più incapace di rispondere alle attese delle masse operaie e contadine. Le elezioni politiche del 1919 videro una grande affermazione dei due partiti di massa, il Partito socialista e il Partito popolare (quest'ultimo fondato all'inizio dell'anno dal sacerdote siciliano don Luigi Sturzo con il consenso del Vaticano);
-le spinte irrazionaliste che avevano alimentato il nazionalismo ripresero nuovo vigore, alimentate anche il mito della vittoria mutilata.
Tutti questi fattori indebolirono fortemente lo Stato liberale che si dimostrò incapace di mediare i conflitti sociali e di rispondere alle esigenze portate dalla crisi economica:
nei cinque anni seguenti si avvicendarono cinque diversi governi, tutti senza una solida maggioranza.

La Repubblica di Weimar


Alla fine della prima guerra mondiale la situazione della Germania appariva drammatica sia dal punto di vista economico che sociale e politico. L'economia era afflitta da un'inflazione e un debito  nazionale senza pari ed, inoltre, le dure condizioni di pace dettate dal trattato di Versailles (completo disarmo del paese e ingenti riparazioni di guerra) pesavano sia economicamente che sull'orgoglio dei tedeschi. Politicamente il passaggio verso la Repubblica fu caratterizzato da un episodio rivoluzionario, la rivolta spartachista, che fu represso nel sangue. Le elezioni svoltesi successivamente furono vinte dalla socialdemocrzia che riuscì a varare una costituzione che fu un esempio di alta democrazia in quanto prevedeva il suffragio universale maschile e femminile, la costituzione di uno Stato federale, la responsabilità del governo dei confronti del Parlamento e l'elezione diretta del Presidente. Questa costituzione fu detta Costituzione di Weimar (1919) dal luogo in cui fu   approntata e diede il nome alla repubblica che fu un'esperienza di grande democrazie e di rinascita sociale e culturale per la Germania. La situazione economica andò migliorando grazie anche a un governo di ampia coalizione che nel 1923 mise in atto un programma di risanamento economico e di stabilizzazione politica.
Dal 1924, poi, la repubblica di Weimar riuscì ad ottenere una riduzione delle riparazioni considerevole (Piano Dawes) e nel 1925 Stresemann avviò la distensione delle relazioni internazionali con gli accordi di Locarno (grazie ai quali erano garantite le frontiere occidentali e la Germania si preparava al suo ingresso nella Società delle Nazioni che avvenne nel 1926).
Purtroppo a causa della Depressione del 1929 l'equilibrio raggiunto con la repubblica di Weimar crollò e nel 1930 il cancelliere Heinrich Bruning iniziò una politica di forti tagli alla spesa pubblica che peggiorò la crisi economica della Germania.
Il malcontento diffuso giocò a favore del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi, guidato da Adolf Hitler che raccolse i consensi sia dai gruppi conservatori che da quelli popolari tanto da vincere le elezioni del 1932.

lunedì 19 gennaio 2015

Le conseguenze della Prima guerra mondiale


Il bilancio in vite umane e  feriti della grande guerra fa catastrofico. Tranne gli U.S.A tutti i paesi uscirono dalla guerra in dissesto  economico. I governi europei vi fecero fronte stampando banconote  in eccedenza e dando  origine a un forte processo inflazionistico  che provocò profonde tensioni sociali (in particolare in Germania). Il problema dell'inflazione si aggiunse a quello della riconversione di un'economia di guerra in una di pace : gli U.S.A e il Giappone avevano ormai sostituito l'Europa come potenze economiche.
Francia e Gran Bretagna avevano perso molti partner commerciali europei stremati dalla guerra o smembrati, come la Germania, la Russia e l'impero austro-ungarico; gli altri Stati, negli anni di guerra avevano sviluppato una propria produzione industriale  e allentato la dipendenza dall'Europa.
Si ebbe inoltre una ripresa del nazionalismo economico e del protezionismo doganale.
Altrettanto gravi furono gli strascichi sul piano delle relazioni internazionali:
-le pesantissime condizioni di pace imposte alla Germania; soprattutto le riparazioni di danni di guerra soffocavano la ripresa economica tedesca; il risentimento per le durissime condizioni di pace prepararono perciò i terreno all'avvento del nazismo;
-negli Stati dell'Europa centrale e nei Balcani, nonostante i 14 punti di Wilson, non fu possibile creare dei veri stati nazionali( troppo forti erano i mosaici di minoranze etniche); molti Stati (Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia) erano politicamente ed economicamente troppo deboli;
-il mancato riconoscimento all'Italia della Dalmazia, alimentò nell'opinione pubblica italiana  il mito della "vittoria mutilata (o tradita)", e tale argomento fu utilizzato dal nascente movimento fascista per allargare il proprio consenso.

venerdì 9 gennaio 2015

I trattati di pace (1919 - 1920)


Nel gennaio 1919 si radunarono a Parigi i rappresentanti degli Stati vincitori (in particolare, Inghilterra, Francia, Stati Uniti, Italia) e quelli dei paesi sconfitti.
Con il Trattato di Versailles (giugno 1919) la Germania subì condizioni particolarmente umilianti:
-dovette restituire alla Francia l'Alsazia e la Lorena; doveva inoltre dare in godimento alla Francia il ricchissimo bacino carbonifero della Saar e la Renania doveva essere smilitarizzata e lasciata sotto il controllo dei vincitori per 15 anni;
-fu costretta a cedere i propri territori coloniali all'Inghilterra e al Giappone;
-dovette cedere alla Polonia la Posnania e una striscia di territorio ("corridoio polacco") che la divideva dal porto di Danzica, dichiarata "città libera";
- l'esercito tedesco doveva essere ridotto a 100.000 uomini, la flotta a 36 navi, senza sottomarini. L'industria pesante non poteva produrre né artiglieria pesante, né carri armati, né aerei, né navi corazzate. Infine fu imposto alla Germania il pagamento dell'astronomica cifra di 132 miliardi di marchi-oro come riparazione dei danni di guerra.
Per quanto riguardava l'impero austro-ungarico, la Conferenza di Parigi sancì la sua dissoluzione:
-nascevano nuovi Stati: la Cecoslovacchia, il regno di Jugoslavia sotto controllo serbo;
-l'Ungheria divenne indipendente ma dovette cedere vasti territori alla Jugoslavia;
-la nuova Repubblica di Austria aveva un territorio ridotto e la sua indipendenza era affidata al Società delle nazioni, anche per evitare un'eventuale unificazione con la Germania.
Anche l'impero ottomano fu smembrato. Il generale turco Mustafà Kemal aveva deposto l'ultimo sultano e proclamò la Repubblica .
L'Italia ottenne il Trentino e l'Alto-Adige, Trieste e l'Istria, parte della Carinzia e Gorizia, le isole del Dodecanneso, la sola città di Zara ma non l'intera Dalmazia: nonostante le promesse del Patto di Londra, questo territorio (per secoli veneziano, di lingua e tradizioni italiane) fu invece attribuito al neonato regno di Jugoslavia (di cui la diplomazia italiana non aveva previsto la nascita nel 1915).
Rimase da definire la questione della città di Fiume che, abitata da una maggioranza di italiani, chiedeva di unirsi all'Italia come previsto dai 14 punti di Wilson (l'autodecisione dei popoli), cosa che però non era prevista dai patti di Londra. Di fronte al rifiuto degli Stati Uniti la  delegazione italiana si ritirò in segno di protesta: quando i ministri italiani  tornarono alla fine di maggio a Parigi, e trattative erano ormai chiuse e il fronte orientale non prevedeva Fiume italiana; le polemiche che ne seguirono contribuirono alla caduta del ministero Orlando.
In settembre Gabriele D'Annunzio si mise alla guida di gruppi militari di volontari italiani e occupò la città: la questione fu regolata dal Trattato di Rapallo (1920) fra Italia e Jugoslavia, con il quale la città fu dichiarata indipendente.

La rivoluzione Russa


L'adesione alla Prima Guerra Mondiale, per la quale la Russia non era preparata, inflisse alla popolazione insopportabili sacrifici  fino a quando, nel marzo del 1917, nella capitale Pietrogrado una protesta contro la carenza di pane degenerò in insurrezione armata spalleggiata dai soldati ammutinati.
Lo zar Nicola II abdicò e fu formato un governo provvisorio moderato, sotto la guida del principe Lvov, al quale diedero il loro appoggio anche i capi della fazione bolscevica del partito operaio socialdemocratico (Molotov e Stalin).
Il 16 aprile tornò in Russia Lenin, leader dei bolscevichi, che convinse i membri del suo partito a non accordarsi con il governo moderato dei liberali e a fissare il proprio obiettivo nella realizzazione di uno stato comunista. Il 13 e 14 luglio ci fu la prima grande manifestazione bolscevica con la quale si chiedeva lo scioglimento della Duma  e l'elezione di un'assemblea costituente. Il primo ministro Kerenskji (socialista) tentò di placare gli animi facendo delle concessioni ai bolscevichi, ma contemporaneamente reprimendo il dissenso con degli arresti che costrinsero Lenin a rifugiarsi in Finlandia. Da questo suo nascondiglio Lenin sollecitava per affrettare i tempi della rivoluzione che, a seguito della decisione di Trotzkij, iniziò contemporaneamente al secondo Congresso generale dei soviet.
La notte del 6 novembre 1917, infatti le guardie rosse occuparono i punti chiave della capitale per poi assaltare il Palazzo d'Inverno.
Fu proclamata la Repubblica sovietica ed il governo venne affidato a un consiglio dei commissari del popolo a capo del quale fu nominato Lenin. Nel resto del paese in molti tentarono di opporsi alla rivoluzione fin quando il 2 novembre i bolscevichi assunsero il controllo di Mosca ed entro la fine del 1917 i nuovi organi di governo si insediarono  in tutta la Russia.
Solo il 30 dicembre 1922, sconfitte anche le ultime resistenze al bolscevismo, fu costituita l'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS)
Tra  i primi atti degli organi rivoluzionari ci furono l'abolizione della proprietà privata delle terre e la loro distribuzione ai contadini, il controllo operaio delle fabbriche, la nazionalizzazione delle banche e l'apertura di trattative di pace con la Germania.
Il 3 marzo 1918 a Brest-Litovsk fu firmata la pace separata tra Russia e gli Imperi Centrali (Germania, Austria-Ungheria, Turchia e Bulgaria), con la quale la Russia uscì dalla Prima Guerra Mondiale.
Le condizioni imposte alla Russia furono molto dure tra queste la rinuncia a vasti territori (Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Ucraina...). Tuttavia tali condizioni furono annullate nel novembre 1918, dopo la sconfitta subita dagli imperi Centrali, in base a quanto stabilito dal Trattato di Versailles (28 giugno 1919).