A Milano, nel marzo 1919, Benito Mussolini fondò i Fasci di combattimento. Mussolini era stato prima socialista (direttore dell'Avanti), poi interventista (e per tale motivo era stato espulso dal partito) e sostenitore della necessità di una rivoluzione violenta (sindacalista rivoluzionario). I suoi seguaci erano soprattutto ex combattenti che chiedevano riforme politiche e sociali, ostentavano un acceso nazionalismo e una forte avversione per i socialisti; il suo programma politico chiedeva la terra ai reduci, 8 ore lavorative, istruzione laica obbligatoria, istituzione di un'imposta straordinaria sul capitale, decurtazione dei profitti dei profitti di guerra, sequestro dei beni delle congregazioni religiose.
Tra il 1920 e il 1921, però il movimento fascista abbandonò questo programma radicale e democratico, accentuò come obiettivo la lotta al socialismo e, basandosi su strutture paramilitari (le squadre d'azione composte da camicie nere), si pose sempre più spesso al servizio degli industriali e dei grandi proprietari agrari. Questi ultimi infatti capirono che grazie al fascismo potevano sconfiggere le leghe e le cooperative contadine.
Il fenomeno dello squadrismo si estese, anche perché non sempre efficacemente contrastato dalle forze dell'ordine, e in tutta Italia si moltiplicarono gli incendi delle leghe e delle case del popolo e le violenze contro i sindacalisti e politici socialisti e cattolici.
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