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giovedì 6 gennaio 2011

Gian Giacomo Mora: il barbiere della peste Manzoniana


autori: Davide e Alessandro

Nella "prima "versione de"I promessi sposi" (storia della colonna infame), Alessandro Manzoni aveva dato ampio spazio alla storia di un barbiere Gian Giacomo Mora, ucciso per esser stato ritenuto colpevole di aver contagiato molte persone di peste.

Un giorno il presidente della sanità e il notaio, con un’opportuna scorta, si presentarono nella bottega del barbiere Gian Giacomo Mora; egli si occupava anche di bassa chirurgia: dalla diffusione della peste iniziò a vendere un prodotto da lui stesso inventato contro il contagio. Il barbiere quindi, viste le guardie e spaventato dal fatto che queste iniziavano una perquisizione della bottega, confessò la colpa di aver preparato diverse volte un unguento senza l'autorizzazione. Durante la perquisizione della casa fu sequestrata una gran quantità di sostanze e pozioni. Fu portato in carcere e alla domanda se conoscesse il Piazza e se mai gli avesse consegnato un vasetto di vetro ricolmo di un certo preparato, Mora ammise di conoscerlo e di avergli venduto tal unguento salvavita, dato che lavorava sempre a contatto con malati. Nel mese di luglio si ebbero numerosi arresti, sulla base di testimonianze popolari o dietro confessioni estorte torturando al limite della sopravvivenza il Piazza e il Mora. Nelle giornate comprese tra il 27 e il 30 giugno si organizzò il confronto tra il Piazza e il Mora, ai quali si concedettero infine sei giorni di tempo per definire le loro difese. Domenica 30 giugno Mora iniziò a rendere piena confessione. Con la confessione, il barbiere aveva firmato la sua condanna a morte.

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